Psa si o Psa no? La domanda è «vecchia» e ormai ha trovato una risposta che, dopo anni di discussioni scientifiche, mette d’accordo tutti. Psa si, ma: non «a tappeto» per tutti e non da solo. «E soprattutto agli uomini dev’essere chiaro che quali sono i vantaggi e i limiti del test del Psa e cosa potrebbe essere necessario effettuare qualora questo esame risultasse non nei limiti di normalità – sottolinea Giuseppe Procopio, direttore del Programma Prostata e dell’Oncologia Medica Genitourinaria Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Valori elevati di Psa non indicano obbligatoriamente la presenza di un tumore, ma che qualcosa non va a livello prostatico: può trattarsi infatti di un’infiammazione (prostatite) o di aumento del volume della ghiandola (ipertrofia), ma possono essere chiamati in causa anche fattori fisiologici come un rapporto sessuale precedente al prelievo».
Chi deve cominciare i controlli a 40 anni
Esistono a tal proposito delle regole da rispettare per un prelievo corretto che il medico spiegherà nel dettaglio. E in caso di ripetizione dell’esame è corretto eseguirlo nello stesso laboratorio per le differenze che possono esistere tra laboratori e che porterebbero ad allarmismi ingiustificati.
Il test del PSA è di semplice esecuzione perché avviene tramite un normale prelievo di sangue (che misura l’antigene prostatico specifico) e viene oggi consigliato agli uomini a partire dai 50 anni. «Chi ha diversi casi di cancro in famiglia, però, dovrebbe cominciare prima, già dai 40 – spiega Orazio Caffo, direttore dell’Oncologia all’Ospedale Santa Chiara di Trento -. Non esistono, al momento, test migliori del Psa, sebbene non sia specifico per un tumore». Su questo fronte la ricerca scientifica ferve, ma per ora l’unica novità importante riguarda il test genetico per la mutazione dei geni BRCA, già “famosi” perché fanno salire (e parecchio) il rischio di sviluppare cancro alla mammella e alle ovaie. «Anche di pancreas e prostata, e questo è meno noto – dice Caffo -. E abbiamo imparato che le neoplasie prostatiche collegate alle mutazioni BRCA insorgono anche in persone giovani, sono più aggressive. Per questo anche i maschi che appartengono a famiglie a rischio eredo-familiare devono iniziare i controlli dai 40 anni».
Sintomi da non trascurare
E per controlli si intende, innanzitutto, la visita urologica che gli uomini dovrebbero fare una volta all’anno, come le donne con quella ginecologica: un modo semplice e molto efficace per restare in salute e scoprire per tempo, quando sono più facili da curare, eventuali problemi, oncologici e non. «Durante la visita raccogliamo informazioni importanti e spieghiamo vantaggi e limiti del test del Psa – chiarisce Nicolò Maria Buffi, direttore della Scuola di Specializzazione in Urologia di Humanitas University a Milano -. Sebbene il cancro alla prostata in fase iniziale non dia sintomi specifici, è sempre bene non trascurare disturbi quali: difficoltà a iniziare la minzione, flusso urinario debole, necessità di spingere durante la minzione, incompleto svuotamento della vescica, elevata frequenza delle minzioni, urgenza di svuotare la vescica e presenza di minzioni notturne. Avvisaglie tipiche anche di infiammazioni e ipertrofia».
Se il Psa è alto
E se il Psa risulta elevato che si fa? Per cercare di individuare coloro che realmente dovrebbero fare la biopsia sono stati e ancora vengono proposti dei test aggiuntivi come la valutazione del rapporto Psa libero/totale, la Psa density e/o velocity, il proPSA e l’indice PHI (il cosiddetto indice di salute prostatica che si effettua con un prelievo di sangue) o marcatori come PCA3 (un esame che si esegue sulle urine), che in realtà non si sono dimostrati molto efficaci. «Se il valore del PSA e l’esplorazione rettale danno luogo a un sospetto di neoplasia prostatica, oggi si prescrive una risonanza magnetica multiparametrica che è in grado di distinguere noduli benigni (indicati come PIRADS 1 e 2) da quelli probabilmente maligni, che necessitano davvero di una biopsia – conclude Buffi -. Un esame che ci ha aiutato a ridurre il numero di biopsie non necessarie e a migliorare l’efficienza della biopsia perché oltre a “mappare” tutta la ghiandola prostatica consente di eseguire prelievi mirati su bersagli ben identificati».
Il 90% dei pazienti guarisce
Un uomo su otto in Italia farà i conti con un tumore alla prostata che, con oltre 40mila nuovi casi diagnosticati ogni anno, è il tipo di cancro più frequente nei maschi dopo i 50 anni. Grazie a diagnosi precoci e terapie sempre più efficaci, oggi oltre il 90% dei pazienti guarisce o a convive con la malattia anche per decenni. «I numeri lo dimostrano: sono circa 564mila gli italiani che vivono dopo aver ricevuto una diagnosi di carcinoma prostatico – ricorda Giario Conti, Segretario Generale della Società Italiana di Uroncologia (SIUrO) -. Molte nuove opzioni sono disponibili anche per quei pazienti, circa 7mila in più ogni anno, che hanno una neoplasia metastatica. Abbiamo fatto progressi importanti perché abbiamo a disposizione molte opzioni: chirurgia, radioterapia, brachiterapia, ormonoterapia e moltissimi farmaci, vecchi (ma ancora validi) e nuovi. La scelta della cura dipende dalle caratteristiche del paziente e della malattia, serve un confronto fra più specialisti per stabilire la strategia “migliore”, caso per caso».
Chi sceglie la terapia migliore
Grazie alla diffusione della diagnosi precoce, oggi il 90% dei carcinomi prostatici viene individuato ai primi stadi, quando il carcinoma è localizzato e non ha ancora dato metastasi. In queste circostanze non esiste una «cura migliore» in assoluto, universalmente valida per tutti gli uomini. La scelta fra chirurgia, radioterapia, brachiterapia e sorveglianza attiva dovrebbe essere condivisa con i pazienti, per decidere qual è l’alternativa migliore per la propria situazione, valutando anche le probabili conseguenze indesiderate (in particolare incontinenza e disfunzione erettile).
«Sono opzioni valide da valutare soprattutto per quelle forme di tumore che sappiamo essere a basso rischio di progressione (ovvero, in pratica, con poche probabilità di evolvere e dare metastasi) – evidenzia Sergio Bracarda, presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) -. La cosa più importante è che a scegliere la terapia “giusta” sia un team multidisciplinare di esperti (e non un singolo specialista) che esponga le varie opzioni per il singolo caso. La scelta va fatta prendendo in considerazione le caratteristiche della malattia, i possibili effetti collaterali, le preferenze e le aspettative del diretto interessato».
Fonte: Corriere Salute