Una nuova ricerca ha svelato perché alcuni batteri intestinali, solitamente innocui, si trasformano in pericolosi nemici per chi soffre di malattie infiammatorie croniche. Lo studio, condotto su modelli animali e dati umani, ha permesso di distinguere un gruppo di microrganismi dotati di particolari “motori” molecolari capaci di scatenare una violenta risposta immunitaria non appena la barriera protettiva dell’intestino subisce un danno.
Alla ricerca della “firma” genetica
Il team di ricercatori dell’University of Alabama (Birmingham, Usa), guidato da Lennard Duck, è partito da un’evidenza già nota in letteratura scientifica: le flagelline, cioè proteine che costituiscono il flagello (una struttura simile a una frusta che permette il movimento) di alcuni batteri intestinali, possono causare infiammazione. Tuttavia, fino ad oggi non era chiaro se tutti i batteri capaci di muoversi potessero irritare il sistema immunitario o se alcuni fossero più “infiammatori” di altri.
Gli scienziati, dunque, come raccontano su Science Immunology, hanno analizzato il Dna dei microbi, scoprendo che la loro capacità di causare danni dipende dalla specifica “firma” genetica del loro flagello. Le analisi hanno consentito di identificare due gruppi di batteri: il gruppo G1, composto principalmente da membri della famiglia delle Lachnospiraceae, mostra una grande diversità nella struttura delle flagelline, mentre il gruppo G2, che include diverse famiglie come Lachnospiraceae e Oscillospiraceae, presenta flagelline più omogenee.
Da pacifica convivenza a guerra aperta
In condizioni normali, quando le barriere intestinali sono integre, i batteri di entrambi i gruppi sono nostri buoni coinquilini: colonizzano l’intestino e promuovono un meccanismo noto come tolleranza immunitaria, inducendo l’accumulo di particolari cellule di difesa (cellule T regolatorie) e la produzione di anticorpi di tipo IgA, che sono elementi essenziali per mantenere un rapporto pacifico tra noi e il nostro microbiota.
Quando però le barriere protettive sono compromesse (ossia quando il muro di muco viene a mancare e i microrganismi possono venire a contatto diretto con le cellule), ecco che emergono le differenze tra i due gruppi, e i problemi. In condizioni non fisiologiche, infatti, solo i batteri del gruppo G2 scatenano una forte infiammazione: le loro flagelline vengono riconosciute da un sensore cellulare chiamato Toll-like Receptor 5 (Tlr5), che si attiva e lancia l’allarme, dando il via a una reazione a cascata che porta all’aumento di marcatori infiammatori. In poche parole, le flagelline del gruppo G2 vengono percepite come una minaccia molto seria.
I riscontri clinici nella Malattia di Crohn
I risultati degli esperimenti sul modello animale hanno trovato riscontro anche nell’essere umano: l’analisi dei dati di pazienti con Malattia di Crohn ha mostrato che i batteri del gruppo G2 (tra cui Clostridium symbiosum, Enterocloster clostridioformis e Hungatella hominis) erano significativamente aumentati nelle biopsie; al contrario, i batteri del gruppo G1 risultavano ridotti in questi stessi pazienti.
Spegnere l’infiammazione
Non è tutto. I ricercatori sono riusciti anche a individuare l’esatta porzione del motore batterico responsabile della potente attivazione del Trl5, chiamato dominio D0, e hanno dimostrato che, modificandolo, è possibile ridurre il potenziale infiammatorio del batterio. Questa evidenza apre le porte a terapie innovative e mirate: in futuro potremmo essere in grado di “spegnere” selettivamente solo la capacità dei batteri del gruppo G2 di causare danni. Una nuova speranza per la gestione di malattie infiammatorie intestinali croniche molto complesse.
Fonte: La Repubblica Salute


