Colesterolo: più è basso e meglio è. Non solo per la salute del cuore ed il rischio infarto ed ictus, ma anche per il benessere del cervello. Se questa è la teoria generale cui dobbiamo affidarci, bisogna poi comprendere che non tutto il colesterolo viaggia nel sangue legato agli stessi trasportatori. In questo senso, ci sarebbero alcune lipoproteine (appunto i trasportatori del colesterolo) che sarebbero più facilmente associate ad una maggiore probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer. In pratica, quanto più sono alte queste LDL (ovvero il colesterolo definito “cattivo”) tanto maggiore sarebbe la probabilità di andare incontro a decadimento cognitivo nella terza età.

A definire questa ed altre associazioni, consigliando sempre il monitoraggio del profilo lipidico del soggetto a rischio di infarto ed ictus anche per proteggerlo da potenziali deficit cognitivi, è una ricerca pubblicata su Neurology e condotta dagli esperti dell’Università del Texas di San Antonio (primo autore Sokratis Charisis), insieme ad esperti dell’Università di Boston, dell’Università del Texas Rio Grande Valley e del Framingham Heart Study.

Quali lipidi sotto esame

Il punto di partenza è semplice. Chi presenta un maggior rischio cardiovascolare è in qualche modo più esposto a sviluppare Alzheimer ed altre forme di decadimento cognitivo. Ma la ricerca va oltre, grazie all’analisi di più di 822 anziani che hanno partecipato al Framingham Heart Study, avviato nel 1948 nell’omonima cittadina del Massachusetts. La valutazione in questo caso ha compreso partecipanti della coorte originale di età pari o superiore a 60 anni e senza alcun problema cognitivo alla fine degli anni 80, seguendone poi i livelli cognitivi e le analisi del sangue per i parametri lipidici. In particolare sono stati considerati i valori di colesterolo “buono” o LDL, di colesterolo legato alle lipoproteine ??a bassa densità (LDL-C), o “colesterolo cattivo”, di un colesterolo “supercattivo” con particelle piccole e dense (sdLDL-C) oltre ad altri tipi di liporpoteine in qualche modo associati a rischio cardiovascolare. in tutto il periodo di osservazioni, fino al 2020, sono stati osservati nella popolazione 128 casi di malattia di Alzheimer.

Cosa danneggia e cosa protegge

I ricercatori hanno scoperto che un aumento di 1 unità di deviazione standard (parametro che misura la distribuzione di una serie di valori di dati) segnala della concentrazione di colesterolo LDL piccolo e denso (sdLDL-C) risulti associato a un aumento del 21% del rischio di comparsa di malattia di Alzheimer. Ma non basta. Nascosti nei lipidi, ci sono anche aspetti protettivi. Con un incremento di 1 unità di deviazione standard nella concentrazione di ApoB48, lipoproteina che trasporta il grasso alimentare dall’intestino al sangue, si osserva una riduzione del 22% del rischio di Alzheimer. Insomma: concentrazioni più basse di colesterolo cattivo a bassa densità (sdLDL-C) e concentrazioni più elevate di ApoB48 risultano associate ad un minor rischio di Alzheimer. Con una curiosità: le persone con valori inferiori di colesterolo HDL, quello “buono”, hanno mostrato comunque minori probabilità di sviluppare l’Alzheimer rispetto al campione. Come a dire che, alla fine, quanto più riduciamo il colesterolo totale con un occhio d’attenzione alle LDL tanto più preserviamo cuore, circolazione e cervello. “Questi risultati sottolineano i collegamenti tra i percorsi del metabolismo delle lipoproteine ??e il rischio di Alzheimer, enfatizzando il potenziale ruolo dei marcatori delle lipoproteine ??nel sangue nella stratificazione del rischio di Alzheimer e delle strategie di modificazione dei lipidi nella prevenzione della demenza – scrivono i ricercatori nello studio”.

Su quali fattori agire

In Italia le persone vivono più a lungo e a parità di età si ammalano meno rispetto a 30 anni fa. A causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati diretti e indiretti 23 miliardi a più di 60 miliardi di euro. L’aumento dell’aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà. Ma attenzione: il trend si può modulare contrastando gli elementi che possono aumentare i pericoli.

L’elenco è aumentato recentemente, visto il peso dei valori elevati di lipoproteine ??a bassa densità (LDL) o colesterolo “cattivo” nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata. Questi si aggiungono a quelli identificati dalla Lancet Commission nel 2020, molti dei quali sono gli stessi che si osservano per le malattie cardiovascolari. Stiamo parlando di bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale, che sono collegati a circa quattro casi su dieci di demenza.

Cosa fare

“Abbassare bene il colesterolo e soprattutto le LDL fa benissimo al cuore – ricorda Stefano Carugo, Direttore del Dipartimento Cardio-toraco-vascolare dell’Irccs Policlinico di Milano. Questo è un dato consolidato da anni e le terapie ipolipemizzanti garantiscono una cardioprotezione assai efficace”. Ma c’è una domanda che ancora rimane sottesa ancora oggi nella comunità scientifica internazionale: abbassarlo troppo fa male al cervello? “Il cervello è “pieno” di colesterolo le sue membrane ne hanno assai – sottolinea l’esperto -. Però questa interessante ricerca sembra indicare una nuova via: anche al cervello fa bene abbassare le LDL. La protezione cerebrale su alcune patologie è di fondamentale importanza e la ricerca stessa sembra proprio andare verso questa direzione. Ulteriori studi saranno necessari ma la strada è segnata”.

 

Fonte: Repubblica.it