EMOSTASI

Quando un vaso sanguigno si rompe, ad esempio nel caso di una ferita, l’organismo innesca una cascata di reazioni, ovvero una serie di processi chimici collegati tra loro per riparare il danno. L’intera serie di eventi prende il nome di emostasi.

Sebbene per ragioni didattiche vengano in genere illustrati come passaggi separati, in realtà il processo va immaginato come come un unico insieme di eventi, spesso contemporanei, in un sofisticato equilibrio.

È possibile individuare:

  1. Emostasi primaria (coagulazione piastrinica): consiste nella formazione di una sorta di toppa temporanea per sigillare la lesione, grazie all’azione delle piastrine (elementi cellulari del sangue). Per fare ciò, le piastrine che circolano nel sangue si attaccano al tessuto danneggiato e si attivano. L’emostasi primaria può anche comportare la costrizione (restringimento) del vaso sanguigno danneggiato, per contenere la perdita del prezioso fluido.
  2. Emostasi secondaria (cascata della coagulazione): il tappo piastrinico è il primo passo per fermare l’emorragia, ma non è abbastanza stabile a lungo termine. Questa fase coinvolge molecole nel sangue chiamate “fattori di coagulazione”, che si attivano in sequenza (cascata della coagulazione) auto-alimentando la reazione. Al termine si osserva la formazione di una sostanza chiamata fibrina che stabilizza le piastrine.
  3. Rimodellamento del coagulo di fibrina:  L’ultima fase dell’emostasi consiste in un processo chiamato fibrinolisi, durante la quale il tappo temporaneo viene sostituito dal tessuto riparato in via definitiva.

DIFFERENZE TRA PT E APTT

Quando si desidera studiare la capacità di coagulazione di un paziente NON è possibile riprodurre fedelmente i passaggi sopra descritti anche in provetta, si procede quindi a studiare la cosiddetta cascata della coagulazione in vitro sul campione di sangue prelevato, per trarre comunque informazioni preziose sullo stato di salute del paziente, attraverso diversi esami, che si occupano ciascuno di valutare/simulare differenti passaggi:

  • PT (misura i fattori della via estrinseca e della via comune: VII, X, V, II e fibrinogeno)
  • aPTT (misura i fattori della coagulazione che fanno parte della via intrinseca e della via comune: XII, XI, IX, VIII, X, V, II e fibrinogeno, nonché la precallicreina (PK) e il chininogeno ad alto peso molecolare (HMWK)).
  • Dosaggio dei singoli fattori

In altre parole ciascun esame è in grado di rilevare criticità in specifici passaggi dei meccanismi di coagulazione, che possono poi essere ricondotti a malattie differenti.

COS’È IL PT?

Il PT, acronimo di tempo di protrombina, è uno dei numerosi esami del sangue comunemente prescritti nella pratica clinica per valutare la capacità di coagulazione dei pazienti. Più specificamente, viene utilizzato per valutare le vie estrinseche e comuni della coagulazione, che rileverebbero carenze dei fattori II, V, VII e X e basse concentrazioni di fibrinogeno.

Tecnicamente il PT misura il tempo, in secondi, impiegato dal plasma per coagulare dopo l’aggiunta di tromboplastina al campione di sangue del paziente del paziente, quindi:

  • valori alti significano difficoltà di coagulazione (rischio di emorragie),
  • valori bassi significano eccessiva coagulazione (rischio di trombi).

Poiché sono disponibili numerose forme di tromboplastina, laboratori differenti otterrebbero tempi diversi a seconda del reagente utilizzato; per ovviare a queste discrepanze numeriche  l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha introdotto il rapporto normalizzato internazionale (INR), che è diventato la forma standard per esprimere il risultato. L’INR rappresenta il rapporto tra il PT del paziente diviso per un valore di PT di controllo ottenuto utilizzando un reagente per la tromboplastina di riferimento (sviluppato dall’OMS).

Cos’è la protrombina

La protrombina, nota anche come fattore II, è un enzima che interviene nel processo di riparazione dei danni ai vasi sanguigni. La protrombina viene prodotta dal fegato e si trova in forma solubile nel sangue, pronta ad essere attivata per trasformazione nella sua forma attiva (trombina).

La trasformazione protrombina-trombina richiede l’intervento del calcio (a sua volta IV fattore della coagulazione del sangue).

QUANDO VIENE PRESCRITTO

L’esame del PT può essere richiesto in caso di:

  • monitoraggio dell’azione dei farmaci anticoagulanti, primo fra tutti il warfarin (Coumadin®) , ovvero antagonisti della vitamina K
  • valutazione di episodi di sanguinamento inspiegabili
  • diagnosi della coagulazione intravascolare disseminata
  • valutazione della funzione epatica (numerosi fattori della coagulazione sono prodotti dal fegato)
  • in preparazione ad un intervento chirurgico.

Sintomi

In pazienti che NON siano in terapia anticoagulante, tra i sintomi che potrebbero indurre alla prescrizione dell’esame figurano:

  • Sospetto di ridotta coagulazione:
    • Emorragia inspiegabile, ad esempio sangue dal naso insolitamente abbondante/frequente
    • Facilità alla formazione di lividi
    • Mestruazioni insolitamente abbondanti nelle donne
  • Sospetto di aumentata coagulazione (sintomi di evento trombo–embolico)
    • Dolore, gonfiore e rossore sulle gambe
    • Affanno e difficoltà respiratorie
    • Tosse
    • Dolore al petto
    • Battito cardiaco accelerato

VALORI ALTI

Valori più elevati rispetto al riferimento riflettono una difficoltà di coagulazione e possono essere causati ad esempio da:

  • Malattie del fegato:  Una qualsiasi sofferenza epatica porta a una diminuzione della produzione della maggior parte dei fattori della coagulazione. Una diminuzione della produzione di fattori della coagulazione porta a un prolungamento del tempo di protrombina e a manifestazioni fisiche che possono includere ad esempio formazione di lividi e sanguinamento delle gengive.
  • Carenza di vitamina K, un componente necessario nei fattori II, VII, IX e X. Le potenziali cause annoverano la malnutrizione, l’uso prolungato di antibiotici (per depauperamento della flora batterica intestinale) e la compromissione dell’assorbimento dei grassi (la vitamina K è lipofila e per essere assorbita deve venire veicolata dai grassi).
  • Carenza di altri fattori: Le malattie ereditarie responsabili di una diminuzione della produzione dei fattori II, V, IX e X porteranno a un PT prolungato.
  • Coagulazione intravascolare disseminata (CID), una grave reazione del corpo che conduce ad un esaurimento dei fattori di coagulazione disponibili.
  • Terapia con anticoagulanti (in questi casi un moderato aumento dei tempi di coagulazione è l’effetto cercato, per ridurre il rischio di formazione di trombi).
  • Sindrome da anticorpi antifosfolipidi, che può venire sospettata ad esempio in caso di eventi tromboembolici ricorrenti e/o aborto spontaneo.

ALTRI FATTORI

Tra i fattori che potrebbero alterare il risultato dell’esame vale la pena di ricordare:

  • Policitemia (eccesso di globuli rossi) con ematocrito superiore al 55%: valori elevati di ematocrito riducono la frazione liquida del sangue, ove sono disciolti i fattori di coagulazione disponibili.
  • Terapia anticoagulante: anche i nuovi anticoagulanti (NAO, come Argatroban, Dabigatran, Rivaroxaban, Apixaban, Edoxaban) prolungano il PT.
  • Colesterolo alto: pazienti con ipercolesterolemia o ipertrigliceridemia mostrano un PT ridotto a causa di livelli più elevati di fibrinogeno e fattore VII.
  • Un eccesso di vitamina K può ridurre i valori per aumento dell’attività coagulante, ma si tratta in genere di un rischio limitato ai pazienti in terapia anticoagulante che modifichino significativamente il consumo di alimenti che contengono la vitamina, in altre parole “più che evitare gli alimenti ricchi in vitamina K, è necessario consumare con regolarità gli alimenti che la contengono, senza aumentarne o diminuirne drasticamente il consumo.”

 

Fonte: healthy.thewom.it