C’è quello buono, c’è quello brutto e quello totale. Dal medico questa distinzione l’abbiamo già appresa, se parliamo di colesterolo. Quello che forse non abbiamo ancora capito bene è come distinguere le tre categorie, perché da esse dipende molto della nostra salute. Partiamo da un assunto: il colesterolo è una molecola fondamentale per il benessere del nostro corpo perché contribuisce a costruire le membrane cellulari. Diciamo che è un precursore della vitamina D e della formazione dei sali biliari, ed è importantissimo per la costruzione degli ormoni steroidei (testosterone, progesterone, estradiolo e cortisolo). Ma attenzione: a valori adeguati il colesterolo è una fonte di benessere, però se cresce troppo diventa un nemico.

C’è quello buono e quello cattivo

La distinzione di fondo, come ogni analisi del sangue riporta, è tra colesterolo buono e cattivo. Chiariamo di cosa stiamo parlando. Nel sangue il colesterolo è trasportato grazie alle lipoproteine che hanno nomi diversi a seconda della loro densità. Vldl (very low density lipoproteins) e Ldl (low density lipoproteins) trasferiscono il colesterolo dal fegato ai tessuti attraverso il sangue.
La loro bassa densità definisce il colesterolo cattivo, perché si stratifica sulle pareti dei vasi arteriosi formando placche che restringono calibro dei vasi e crea un accumulo a livello del tessuto muscolare e adiposo. Hdl (high density lipoproteins) è invece la sigla del colesterolo buono, perché le lipoproteine muovono quello presente in eccesso nel plasma ripulendo il sangue.

E poi c’è quello totale

Così si arriva al colesterolo totale. Come calcolarlo? I suoi valori non dovrebbero superare la soglia 200 mg-dl (milligrammi per decilitro), mentre il valore Ldl dovrebbe restare sotto 130 mg-dl.
Il colesterolo buono, invece, deve abbondare con valori Hdl superiori a 40 mg-dl. L’indice di rischio si calcola con la frazione che divide il valore del colesterolo totale con l’Hdl: il risultato deve restare inferiore a 5 negli uomini e a 4,5 nelle donne. Ad esempio, se il totale è 210 e il valore Hdl è 70, il rapporto è 210:70=3. In parole povere: non si rischia.

Statine per abbassare il colesterolo?

Quando il colesterolo cattivo è alto entrano in gioco le statine. Nella maggior parte dei casi, ai pazienti ad alto rischio, oppure a chi ha una malattia cardiovascolare nota, purché non ci siano controindicazioni, vengono prescritti dei farmaci ad azione ipocolesterolemica (per contrastare o ridurre il colesterolo totale ed LDL): le statine, appunto.

Approvate nel 1987, oggi sono tra i farmaci con maggiore impatto sulla spesa convenzionata in relazione a quelli prescritti per il sistema cardiovascolare: nel 2019 un italiano su dieci ha ricevuto almeno una prescrizione di ipolipemizzanti con un marcato trend per età, che raggiunge circa il 40% nella fascia ≥75 anni.
Ma, se ricerche precedenti suggerivano l’uso di statine per abbassare il colesterolo cattivo così da prevenire problemi cardiovascolari, nuovi studi mettono in discussione questo legame.

Uno studio le mette in discussione

Gli esperti discutono sul fatto che le statine siano o meno prescritte in eccesso. Chi le prende ne trae davvero beneficio? Secondo uno studio risalente al 2022, della RCSI University of Medicine and Health Science, “il legame tra il colesterolo cattivo e gli esiti negativi sulla salute, come infarto e ictus, potrebbe non essere così forte come si pensava in precedenza”. La ricerca, pubblicata su Jama Internal Medicine, mette in dubbio l’efficacia delle statine quando prescritte con l’obiettivo di abbassare il colesterolo cattivo e, quindi, ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.

Cosa dice la ricerca

Con l’obiettivo di indagare l’associazione tra riduzioni dei livelli di LDL-C (colesterolo cattivo) e trattamento con terapia a base di statine, in relazione alla morte provocata soprattutto da infarto del miocardio e ictus, i ricercatori hanno condotto una meta-analisi di 21 studi clinici rilevanti e analizzato i dati combinati di oltre 140.000 partecipanti (uomini e donne con età superiore ai 18 anni). L’analisi puntava a rispondere a due domande. La prima era: “Per ridurre il rischio di infarto, ictus o morte prematura, bisogna abbassare il più possibile il colesterolo LDL-C?”; la seconda recitava: “Quali sono i benefici effettivi delle statine quando si tratta di ridurre il rischio di questi eventi?”.

La riduzione del rischio

In alcuni studi, l’abbassare il colesterolo LDL-C è stato associato a riduzioni significative del rischio di morte, ma in altri questo rapporto non c’è. I risultati della meta-analisi condotta dalla RCSI University stanno a metà strada: i ricercatori hanno trovato una relazione sorprendentemente debole e incoerente tra il grado di riduzione del colesterolo LDL, derivante dall’assunzione di statine, e il rischio ridotto di infarto, ictus, o morte prematura.

In particolare, i ricercatori hanno scoperto che, sebbene ci sia un abbassamento del rischio relativo del 50% di infarto, ictus e morte prematura, la probabilità di far calare anche quello assoluto derivante dall’assunzione di statine è modesta (0,1%). Nello specifico, la riduzione del rischio relativo per chi assume statine rispetto a chi non ne fa uso è del 9% per i decessi, del 29% per gli attacchi di cuore e del 14% per gli ictus. Tuttavia, l’abbassamento assoluto del rischio di morte, infarto o ictus è rispettivamente dello 0,8%, 1,3% e 0,4%.

Fonte: Repubblica.it