Livelli troppo bassi di acido folico, noto anche come vitamina B9, potrebbero essere associati a un maggior rischio di demenza e Alzheimer. Oggi un ampio studio condotto dalla Icahn School of Medicine al Monte Sinai approfondisce l’argomento studiando i dati di un ampio campione di persone con più di 60 anni.

Nei partecipanti è emersa una possibile associazione, a livello statistico, fra la carenza di acido folico e la demenza, oltre che al rischio di decesso per tutte le cause. La ricerca non ha individuato una relazione di tipo causale ma appunto solo statistica e conferma le prove di alcune indagini precedenti. I risultati sono pubblicati su Evidence Based Mental Health, rivista del gruppo del British Medical Journal (Bmj).

Acido folico e demenza, c’è un legame

I ricercatori hanno esaminato i dati di quasi 30mila persone, dai 60 ai 75 anni, non affette precedentemente da demenza, analizzando la concentrazione di acido folico nel sangue, e hanno monitorato la loro salute per circa 5 anni dopo il test. Gli scienziati hanno inoltre valutato ed escluso il peso di eventuali fattori che potevano influenzare i risultati, come la presenza di diabete, di depressione, la carenza di vitamina B12, il fumo e l’eventuale assunzione di integratori di acido folico.

I risultati segnalano che un deficit di questo componente – ovvero la presenza di una quantità al di sotto dei 4,4 nanogrammi per ml – era associato a un rischio più alto, e aumentato in maniera sostanziale, di sviluppare una forma di demenza. Il tasso di incidenza della malattia neurodegenerativa era quasi doppio nel gruppo con la carenza di vitamina B9 rispetto all’altro gruppo. Anche l’incidenza dei decessi per tutte le cause era maggiore nella popolazione con basso acido folico.

La ricerca suggerisce che questo componente possa essere un biomarcatore dell’invecchiamento e di alcune patologie correlate. Lo studio non può escludere, però, che la diminuzione della B9 sia invece un effetto della malattia, dunque una conseguenza più che un fattore di rischio: questo perché le demenze possono avere una fase preclinica anche molto lunga, ovvero un periodo in cui il disturbo è già presente ma i sintomi non si sono manifestati (o non in maniera chiara). Per comprendere meglio la dinamica saranno necessari ulteriori approfondimenti, come chiariscono gli autori.

Attenzione anche all’omocisteina

“Lo studio è interessante”, commenta Gianfranco Spalletta, psichiatra e Responsabile del Centro per i disturbi cognitivi e le demenze presso la Fondazione Santa Lucia Irccs a Roma, che non è coinvolto nel lavoro, “e di rilievo, da un punto di vista epidemiologico, dato che analizza un campione piuttosto vasto”. Il collegamento fra i parametri citati era già esaminato in ambito clinico e messo in luce da alcune prove. “In molti casi livelli troppo bassi di acido folico sono strettamente legati a un aumento dell’omocisteina”, prosegue Spalletta, “un amminoacido presente in quantità molto ridotte nel nostro organismo. L’eccesso di omocisteina può portare a danni delle pareti dei vasi sanguigni, con la crescita del rischio di numerose patologie, fra cui le demenze”.

L’importanza della prevenzione

Nell’anziano l’assorbimento a livello intestinale di acido folico può essere ridotto portare a un deficit. “Nello studio in esame quasi il 13% dei partecipanti con più di 60 anni presentava una carenza”, aggiunge l’esperto, “un dato rilevante che deve porre l’attenzione verso questo elemento”. Soprattutto negli anziani è importante misurare sia l’acido folico sia l’omocisteina, per prevenire malattie cardiovascolari e del sistema nervoso centrale. “Semplici analisi del sangue di questi 2 parametri possono permettere di iniziare precocemente una supplementazione con acido folico”, precisa Spalletta, “e abbassare la probabilità di sviluppare patologie. Sarebbe bene svolgere un approfondimento tempestivo, nel momento in cui la persona comincia a riferire sintomi anche attenuati di declino cognitivo. Inoltre, per chi ha familiarità per forme di demenza è opportuno iniziare molto precocemente a fare il test, anche a 40 anni”. Ricordando che la prevenzione è la principale arma per contrastare questi disturbi.

 

Fonte: Repubblica.it