Parlare di screening genetico per identificare chi è a rischio infarto è prematuro. Ma un passo avanti è stato fatto ed è comunque di grande importanza: la prima mappa funzionale delle varianti genetiche che influenzano il colesterolo LDL, quello cattivo per intenderci. Perché grazie alla ricerca pubblicata su Science si ha finalmente una sorta di “cartina geografica” che può darci una classificazione delle quasi 17.000 varianti del gene LDLR ma soprattutto rende conto degli effetti sulla struttura della proteina e della capacità di eliminare il colesterolo in eccesso dal sangue.

In pratica, abbiamo le basi per pensare, un domani, ad identificare chi è a maggior rischio e soprattutto per ottimizzare la risposta alle terapie. Lo studio è stato realizzato da un team di scienziati guidato da Frederick Roth dell’Università di Pittsburgh e apre la via alla disponibilità di uno strumento senza precedenti per individuare chi è geneticamente predisposto a sviluppare livelli elevati di LDL e, di conseguenza, un rischio maggiore di infarto e ictus. L’iniziativa è stata condotta in collaborazione con ricercatori dell’Università di Toronto, del Vanderbilt University Medical Center e del Brigham and Women’s Hospital.

Cosa potrebbe cambiare

La conoscenza delle varianti del gene LDLR appare fondamentale per capire cosa succede alle lipoproteine che trasportano il colesterolo “cattivo” e quindi comprendere se si può eliminare questo dal sangue. Secondo Roth, “conoscere in anticipo queste mutazioni significa poter intervenire prima con terapie preventive”. Insomma la speranza è che si possa capire prima cosa accade e quindi agire di conseguenza. “Il recettore LDL é quello più coinvolto nelle mutazioni per forme gravi di ipercolesterolemia familiare – precisa Alberto Zambon, docente presso la Clinica Medica 1 – Dipartimento di Medicina, Azienda Ospedale – Università di Padova. La conoscenza di questo recettore ci ha permesso di capire come il colesterolo viene tirato dentro dalle cellule e soprattutto ci consente di definire al meglio le terapie: in base alla presenza quantitativa del recettore, infatti, potremmo indirizzare le cure. Se non c’è sufficiente presenza recettoriale quanto abbiamo a disposizione sul fronte farmacologico fa poco. Ma sono disponibili o stanno arrivando terapie mirate recettore-indipendente, come evinacumab (anticorpo monoclonale usato per trattare l’ipercolesterolemia familiare omozigote che funziona bloccando l’ANGPTL3, una proteina che inibisce il metabolismo dei lipidi, per ridurre i livelli di colesterolo LDL, ndr.), e lomitapide”.

Ad ognuno il suo profilo di rischio

Grazie a questa mappa, realizzata nell’ambito dell’Atlas of Variant Effects Alliance, un consorzio internazionale che riunisce oltre 500 scienziati di 50 Paesi impegnati a mappare gli effetti delle varianti genetiche in malattie ereditarie, si potranno avere informazioni precise sui geni difettosi legati al metabolismo del colesterolo. Secondo uno degli studiosi, Dan Roden, del Vanderbilt University Medical Center, si potrebbe giungere a veri e propri “punteggi” in grado di definire il rischio, capaci di far riconoscere meglio i quadri di ipercolesterolemia su base genetica.

Più conoscenza sui lipidi

Non solo. L’indagine offre un ulteriore tassello per le conoscenze sul metabolismo dei lipidi. In presenza di specifiche varianti del recettore LDL si perde la capacità di legare il colesterolo quando nel sangue aumentano i livelli di VLDL, una molecola più grande da cui deriva appunto l’LDL. La morale insomma è quella che emerge dalla riflessione su Science degli stessi autori: “Ogni variante genetica può raccontare una storia diversa sul modo in cui il nostro corpo gestisce il colesterolo e conoscere queste storie in tempo può letteralmente salvare la vita”.

Per approcci su misura

L’informazione che può venire da questa “mappa” genetica del colesterolo cattivo, insomma, può avere grande importanza. E non solo sul fronte delle cure. “Disporre di queste informazioni ci aiuterà a definire la terapia caso per caso: ma soprattutto aiuterà a poter dare risposte a chi ha un colesterolo LDL superiore a 190-200 milligrammi per decilitro e presenta una storia di malattia cardiovascolare, con un infarto precoce sotto i 50 anni per l’uomo e i 55 per la donna – precisa Zambon. In queste situazioni si potrà più facilmente pensare ad una base genetica del problema e quindi ad un approfondimento, con screening a cascata non solo nel soggetto ma anche sulla famiglia. Quindi potremo raffinare sempre di più la diagnosi in chi ha un colesterolo LDL elevato, per valutare la presenza di un’eventuale forma genetica. ovviamente il dato andrà gestito in un centro specializzato”.

I livelli per chi ha già avuto un infarto o ictus

Il tutto, tenendo presente che già oggi per il colesterolo LDL ci sono obiettivi particolarmente sfidanti soprattutto nelle persone che magari hanno già avuto un infarto o un ictus o presentano malattie aterosclerotiche diffuse. In questi soggetti a rischio alto ed altissimo le linee guida dicono che occorrerebbe puntare a rimanere sotto i 70, i 55 rispettivamente e addirittura sotto i 40 milligrammi per decilitro nel caso di persone che abbiano avuto episodi di infarto ricorrenti in un breve arco temporale. Ed è basilare raggiungere presto l’obiettivo e mantenerlo nel tempo.

Oltre il colesterolo

In ultimo, ricordiamo che quando si parla di lipidi pensare al solo colesterolo LDL è riduttivo, visto che bisogna parlare in termini di profilo lipidico globale. Ed occorre pensare anche ad altri elementi. Ci sono infatti anche altre lipoproteine, come le HDL ad azione protettiva o le VLDL, che sono invece nocive. Senza dimenticare anche i fattori che entrano in gioco nel definire il cosiddetto rischio cardiovascolare residuo come i trigliceridi.

Un rischio aumentato con valori normali

Negli ultimi tempi, poi, stiamo iniziando a capire anche come si possa avere comunque un rischio aumentato pur in presenza di valori di LDL ottimali. In questo senso conta la proteina Lp(a). Almeno una volta nella vita bisognerebbe conoscerne i valori. Si comporta esattamente come una sorta di “alleato” delle LDL, quasi una specie di sosia invisibile (perché sovente mai misurato o tenuto in considerazione). Ed aumenta il rischio cardiovascolare, tanto da essere considerata un fattore causale per malattie cardiovascolari, esattamente come il colesterolo LDL.

 

Fonte: Repubblica Salute