Un semplice prelievo di sangue potrebbe trasformare il futuro della diagnosi oncologica. Il test Galleri, sviluppato dalla biotech americana Grail, è infatti in grado di rilevare oltre 50 tipi di tumore, compresi molti per i quali oggi non esistono programmi di screening raccomandati, analizzando minuscole tracce di DNA tumorale circolante nel flusso sanguigno. I primi risultati, provenienti da due grandi studi clinici nordamericani – PATHFINDER e PATHFINDER 2 – mostrano un potenziale tale da spingere diversi esperti a parlare di “cambio di paradigma”. I nuovi dati sono stati presentati sabato in occasione del Congresso dell’European Society for Medical Oncology (ESMO) 2025, uno degli appuntamenti più rilevanti a livello mondiale per l’oncologia.
Dalla prima sperimentazione a numeri più solidi
Il primo studio PATHFINDER, pubblicato nel 2023 su The Lancet, ha coinvolto circa 6.600 adulti sani dai 50 anni in su, senza segni clinici di cancro. In poco più dell’1 per cento dei partecipanti il test ha rilevato un “segnale di cancro”, confermato poi in circa un terzo dei casi. Sebbene la sensibilità fosse limitata, lo studio ha dimostrato che il test poteva essere integrato in un percorso clinico reale, avviando indagini di conferma in tempi rapidi.
Sulla base di questi risultati, la versione successiva dello studio (PATHFINDER 2) ha ampliato lo studio a oltre 23.000 partecipanti e migliorato la performance del test, restituendo numeri più incoraggianti. Affiancato agli screening tradizionali, il test ha permesso di individuare oltre sette volte più tumori rispetto ai controlli standard. Tra i casi identificati, circa la metà era in fase iniziale – quando le probabilità di cura sono maggiori – e ben tre quarti riguardavano neoplasie oggi prive di programmi di prevenzione strutturati, come pancreas, fegato, ovaie, stomaco e vescica, spesso scoperte solo quando i sintomi compaiono in fase avanzata. “Questi dati potrebbero cambiare radicalmente il nostro approccio alla diagnosi precoce”, ha dichiarato il professor Nima Nabavizadeh, radiologo oncologico dell’Oregon Health & Science University e principale autore dello studio. “Il test – ha spiegato – non solo rileva il “segnale” della malattia, ma indica anche in quale parte del corpo si trova, con un’accuratezza vicina al 90 per cento. Questo permette ai medici di indirizzare rapidamente il paziente verso gli accertamenti più appropriati”.
Quali sono le novità davvero rilevanti?
Il vero valore del test, secondo i ricercatori, sta nel fatto che circa metà dei tumori individuati erano in fase precoce (quando la cura è più possibile) e che circa tre quarti dei tumori rilevati appartenevano a tipi per i quali oggi non esistono programmi di screening raccomandati – come il fegato, il pancreas, le ovaie, la vescica, lo stomaco. In altre parole, la tecnologia sembra colmare un vuoto importante della prevenzione oncologica. Inoltre, il test ha indicato correttamente l’“origine” probabile del tumore (ossia in quale organo probabilmente era nato) in circa 9 casi su 10, facilitando i pazienti e i medici nel decidere il percorso diagnostico più efficace.
Come funziona il test Galleri
Il Galleri è un test di biopsia liquida che analizza un semplice prelievo di sangue alla ricerca di frammenti di DNA rilasciati dalle cellule tumorali. Il suo punto di forza è la capacità potenziale di individuare la presenza di un tumore – e perfino di indicarne la possibile sede nell’organismo – tra oltre 50 diverse forme di cancro. Il meccanismo si basa sull’identificazione del cosiddetto DNA tumorale circolante (ctDNA), ossia minuscole tracce genetiche che si differenziano dal DNA delle cellule sane per un particolare segnale chimico: la “metilazione”. È questa firma molecolare che permette all’algoritmo del test di distinguere un tessuto sano da uno tumorale e ipotizzarne l’origine.
Gli ostacoli ancora da superare
Nonostante questi dati promettenti, gli oncologi e gli epidemiologi restano cauti. Individuare un tumore presto è sicuramente un passo avanti, ma non è garantito che questo si traduca automaticamente in meno morti per cancro. Come ha osservato Clare Turnbull, professoressa di Genetica traslazionale del cancro presso l’Institute of Cancer Research di Londra: “Dati da studi randomizzati, con la mortalità come endpoint, saranno assolutamente essenziali per stabilire se questa diagnosi apparentemente precoce si traduca in benefici reali”.
Altri problemi, secondo gli esperti, riguardano il rischio di sovradiagnosi – ovvero scovare tumori che magari non avrebbero mai causato danni clinici nella vita del paziente – e il fatto che la sensibilità del test non sia uniforme per tutti i tipi di tumore o per tutte le fasi. In alcune analisi, ad esempio, la sensibilità nell’individuare tumori allo stadio più precoce è risultata piuttosto modesta. Inoltre, va considerata la dimensione economica e organizzativa: quali saranno i costi, come si inserirà il test nei percorsi di screening nazionali, quali saranno le ricadute sugli accertamenti diagnostici (ecografie, TAC, biopsie) e sul sistema sanitario in generale.
Prossimi passi
Il prossimo tassello cruciale è uno studio su larga scala condotto dal NHS (National Health Service del Regno Unito), che coinvolge circa 140.000 pazienti e i cui risultati sono attesi per l’anno prossimo. Se questo studio confermerà che il test Galleri non solo rileva più tumori, ma riduce la mortalità e lo fa in modo costo‐efficace, potremmo trovarci, secondo gli esperti, all’inizio di una nuova era dello screening oncologico.
Da un punto di vista pratico, per ora il test Galleri è complementare agli screening classici (mammografia, colon-rettale, cervice, polmoni in soggetti a rischio) e non li sostituisce. Le raccomandazioni congiunte del NHS britannico e delle linee d’uso clinico fornite da Grail) indicano che al momento va utilizzato in soggetti adulti (solitamente 50 anni o più) con un elevato rischio oncologico, e che un risultato “nessun segnale di cancro rilevato” non esclude al 100 per cento la presenza di cancro.