Si chiama biopsia liquida ed è una nuova tecnologia capace di rilevare la presenza di DNA tumorale circolante (ctDNA) nel sangue dei pazienti con un tumore dopo la chirurgia o durante i cicli di terapia farmacologica.
In pratica si svolge con un semplice prelievo di sangue che ha però la capacità d’intercettare «tracce» cancerose invisibili con altre tecniche diagnostiche e può fornire informazioni utilissime su più fronti: ad esempio per predire quali pazienti hanno elevate probabilità d’andare incontro a una recidiva e decidere di prescrivere loro un determinato trattamento, o per monitorare l’andamento delle cure in chi sta assumendo dei farmaci.
A questi scopi biopsia liquida è stata utilizzata, negli ultimi anni, in persone con cancro ai polmoni, al seno o al colon. Ora un nuovo studio pubblicato oggi sulla rivista scientifica The Lancet Oncology ne dimostra l’utilità anche per i pazienti operati per un melanoma, il più pericoloso fra i tumori della pelle.

Il nuovo studio
La sperimentazione è stata condotta dai medici americani della New York University Langone Health e del Perlmutter Cancer Center su oltre 600 pazienti sottoposti a chirurgia per un melanoma al terzo stadio seguiti in centri europei, nordamericani e australiani. I ricercatori hanno eseguito la biopsia liquida sui partecipanti, analizzando i loro livelli di DNA tumorale circolante e confrontandoli poi con l’effettiva comparsa di una recidiva. «Il DNA tumorale circolante (circulating tumor DNA, ctDNA) è costituito da piccoli frammenti di DNA rilasciati dalle cellule tumorali nel sangue – spiega Mario Santinami, direttore della Struttura Melanoma e Sarcoma alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Milano, che ha partecipato allo studio -. I risultati del nuovo trial indicano che circa l’80% dei malati in cui è stata rilevata la presenza di DNA tumorale circolante dopo l’operazione hanno effettivamente avuto una ricaduta – Non solo: in questi pazienti la neoplasia recidiva molto più rapidamente che in quelli senza ctDNA. E ancora, quanto più alti sono i livelli di ctDNA presenti nel sangue, tanto più rapidamente il cancro si ripresenta».

Melanoma al terzo stadio
Il melanoma è il più aggressivo dei tumori cutanei: se riconosciuto in ritardo, può essere letale, mentre quando viene individuato alle prime fasi può guarire anche solo con l’intervento di asportazione chirurgica. Non è il cancro alla pelle più comune, ma la sua incidenza è in costante aumento (specie tra i giovani adulti), tanto che in Italia nell’ultimo decennio siamo passati da 7mila a quasi 15mila nuovi casi annui e questo è diventato il terzo tipo di cancro più frequente sotto i 50 anni. Il melanoma di stadio III è localmente avanzato: non ha dato metastasi a distanza, ma si è diffuso ai linfonodi o tessuti più vicini. «Attualmente lo standard di cura per i pazienti con melanoma al terzo stadio è la chirurgia, a cui può seguire una terapia farmacologica adiuvante proprio con lo scopo di arginare il rischio di recidiva – dice Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia, melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Tumori Pascale di Napoli -. Sono persone che possono guarire definitivamente, ma è fondamentale impedire che la malattia progredisca o si ripresenti. Per cui dobbiamo capire chi è più a rischio di ricaduta per prescrivere immunoterapia o farmaci a bersaglio molecolare ed eseguire la biopsia liquida sarebbe un aiuto prezioso. Attualmente la diagnosi di melanoma richiede la conferma istologica su biopsia cutanea, ma il ctDNA viene studiato come supporto diagnostico non invasivo».

Cosa può dire il test del ctDNA
Negli ultimi anni, l’analisi del ctDNA è emersa come uno strumento promettente per i pazienti con melanoma, con potenziali impieghi nella diagnosi precoce, nel monitoraggio della risposta ai trattamenti e nella rilevazione tempestiva di recidive. Il test ematico permette il monitoraggio continuo dell’evoluzione della neoplasia in tempo reale ed è un approccio minimamente invasivo che potrebbe affiancare le tecniche tradizionali (biopsie cutanee ed esami radiologici). «Numerosi studi hanno evidenziato che la presenza di ctDNA è correlata allo stadio clinico – chiarisce Santinami -: nelle fasi iniziali il DNA circolante è spesso assente o molto scarso, mentre diventa più facilmente rilevabile in stadi avanzati. Un’analisi riportava ctDNA rilevabile in circa il 34% dei pazienti in stadio III e nel 73% dei pazienti in stadio IV. E questo nostro ultimo studio indica che quasi tutti i pazienti con ctDNA rilevabile a tre, sei, nove o 12 mesi dopo la chirurgia hanno poi effettivamente avuto una recidiva. Servono ulteriori conferme prima di esserne certi (anche perché in rari casi i malati con test negativo hanno poi comunque avuto una ricaduta), ma la biopsia liquida potrebbe presto diventare un test di routine per decidere la cura migliore caso per caso».

La risposta alle terapie sistemiche
«Infine, l’andamento quantitativo e qualitativo del ctDNA fornisce preziose informazioni sulla risposta alle terapie sistemiche (per esempio immunoterapia o terapie a bersaglio molecolare) – conclude Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma Onlus -. In pazienti con melanoma avanzato, il calo dei livelli di ctDNA durante il trattamento è spesso correlato a una risposta tumorale efficace, mentre la persistenza o ricomparsa di ctDNA può indicare malattia residua o progressione».

 

Fonte: Corriere Salute